Luigi Sassoli: galeotto fu il Commodore 64
Il manager di Aep ripercorre le sue tappe, tra lavoro e vita privata
“Forza e coraggio” è il must di Luigi Sassoli, nel lavoro come nella vita di tutti i giorni. Classe ’77, di origini aretine, si è laureato a Firenze in ingegneria informatica, con dottorato in “Ingegneria Informatica, Multimedialità e Telecomunicazione”. Oggi si occupa di marketing strategico di prodotto per Aep, dove ricopre il ruolo di solution manager.
Da quanto tempo lavora qui?
«Dal 2010. Prima ho lavorato per Gilbarco per circa quattro anni, ricoprendo vari ruoli, fino a diventare responsabile sviluppo software».
Quale ricordo ha dei primi anni in cui è arrivato in Aep?
«Eravamo una ventina di persone, sviluppavamo principalmente hardware e software specifico per apparati, mentre il sistema software nel suo complesso era più un’idea da realizzare. Si lavorava sodo e sono stati anni bellissimi, soprattutto tra il 2010 il 2017, quando ho ricoperto il ruolo di direttore tecnico prima e di ricerca e viluppo poi. Ogni anno il fatturato dell’impresa cresceva considerevolmente e, di conseguenza, uno dei problemi da affrontare era riuscire a strutturarla per affrontare tale crescita. Sono stati anni di lavoro intenso, ma è stato un piacere aver contribuito a quella crescita ed essere stato uno degli attori in scena».
Com’è cambiata l’azienda oggi?
«È fortemente cambiata, è molto più strutturata, abbiamo clienti di alto livello, ed è una soddisfazione incredibile vederla così. Il futuro ci riserva ancora tante sfide da affrontare, ma il punto di forza di Aep è la capacità di riorganizzarsi e modificarsi in base non solo alle richieste del mercato ma anche alle dimensioni delle attività da svolgere».
Di cosa di occupa attualmente?
«Di marketing strategico. Questo riguarda sia l’evoluzione dei prodotti Aep sia l’essere in contatto diretto con clienti che vogliono sviluppare soluzioni su misura. Mi occupo in questi casi di analizzare i requisiti e proporre le soluzioni, procedendo poi con un’analisi tecnica preliminare ultile per concretizzare l’offerta commerciale».
Quanto porta nella sua quotidianità l’ingegnere che è in lei?
«Per lavoro devo raccogliere informazioni, razionalizzarle e dividerle in sotto-problemi, questo approccio diventa una forma mentis che si riflette anche nella vita di tutti i giorni, facendo prevalere la parte razionale. A questo si aggiunge nel quotidiano una passione per la tecnologia che va oltre il lavoro».
Qualche rimpianto?
«Premesso che rifarei tutto, ho avuto grosse responsabilità sul lavoro in anni in cui ero molto giovane. Ho perso per strada un po’ di spensieratezza, recuperata in un colpo solo quando è nata la mia Giulia».
Quando ha capito che voleva diventare un ingegnere?
«In realtà ero indeciso se scegliere Lettere all’Università perché l’insegnante di italiano e latino mi continuava a ripetere che ero portato per le materie umanistiche. Per un attimo ho anche pensato di fare Conservatorio perché avevo la passione per la chitarra elettrica. A portarmi sulla strada dell’ingegneria informatica è stato il Commodore 64 di mia sorella. Quando glielo regalarono aveva quattordici anni e io sette: lei lo abbandonò dopo un giorno, io me ne innamorai a prima vista. E le svelo un segreto: non me ne sono mai separato, lo conservo ancora gelosamente».